4.12.2013

MIGRANTI



In questi giorni di grandi confusioni, di grandi incertezze, la prima cosa che ci viene in mente è quella di emigrare, lasciare il nostro paese e trovarne uno che soddisfi le nostre esigenze. Questo perchè fa parte della natura umana, fin dai tempi dei primitivi il cambiare luogo, quando quello dove si stava non offriva più sostentamento, era una pratica comune. Poi ci sono state le grandi emigrazioni italiane del dopo guerra, dove per far sopravvivere le famiglie, gli uomini radunavano le poche cose che avevano e partivano.
Raccontata così sembra semplice, raduni le poche cose che hai e parti, alla ricerca di una vita migliore, la prospettiva è allettante, peggio di così,pensiamo non può essere. 
Ed invece così semplice non è! Almeno non per molti,e soprattutto da adulti.
Le dinamiche che ci spingono fuori sono allettanti, ma dentro sentiamo come un vuoto cosmico come un'ombra che non permette a questa prospettiva allettante di brillare come deve. E cos'è quest'ombra?sicuramente l'incertezza di non riuscire a trovare un lavoro immediatamente, questo se si parte all'avventura con lo scopo di cercare lavoro una volta arrivati sul posto! L'atteggiamento negativo riguardo il lavoro è un aspetto tutto nostro, visto che il nostro stato ci ha inculcato insicurezza in tale settore, un altro aspetto è senza dubbio l'etá, in italia ti inculcano l'idea che dopo i trenta sei vecchio e non più spendibile nel campo del lavoro! In Italia è quasi proibito reinventarsi, per cui anche se sai che altrove puntano sulla persona e sul suo saper fare dubiti che sia davvero così! L'incomprensione linguista,per quanto si sia preparati, non si conoscono mai tutte le sfumature, e la paura e la stanchezza non aiutano a ritovare le giuste parole.
La paura più grande è abbandonare gli affetti e ritrovarsi soli a dover ricostruire tutto da capo, la paura più grande è ritrovare quella persona che sai ti aiuterà in qualsiasi situazione o circostanza ti trovi! In una sola parola sei completamente depersonalizzato dovrai reinventare te stesso, adattandolo al nuovo mondo che se da una parte è meraviglioso dall'altra fa paura! Poichè il fallimento è sempre dietro l'angolo. Probabilmente il nostro svantaggio,rispetto agli anni passati, è la conoscenza e la globalizzazione, che se da un lato ci ha fatto conoscere lo stile di vita degli altri abitanti di questo paese dall'altro ci ha fatto anche scoprire il fallimento a cui potremmo andare in contro se non riuscissimo ad adattarci a quel determinato stile di vita, perchè è vero che se scegliamo di andare a vivere in quel luogo, leggiamo, facciamo ricerche ci proiettiamo lì e pensiamo "sì lo posso fare", ma poi quando siamo lì la nostra personalità,il nostro stile di vita ha delle difficoltà a farlo.

 I nostri nonni,bisnonni, emigrati in Canda,in America sono partiti senza nessuna consapevolezza, l'unica certezza che avevano era che lì avrebbero trovato lavoro e si sarebbero potuti riscattare, ed è vero il loro successo è davanti ai nostri occhi.
 Ma ogni viaggio ha un suo sentimento c'è il dolore e la gioia della  separazione; 
l’ora della partenza se da un lato ci coglie colmo di speranza, protesi verso ciò che sarà, verso un mondo  tanto sognato e immaginato, da averlo plasmato con i nostri desideri, dall’altro ci provoca   un senso di tristezza poichè abbandoniamo i nostri familiari, i nostri affetti,le nostre radici.
 Questa contraddizione sentimentale dell'emigrato è ben descritta nel romanzo Emigranti, di Francesco Perri (1941), romanzo in cui si narra l’“epopea” dell’emigrazione italiana in America. 
Uno dei personaggi  esprime così la sua melanconia:

     “È vero – fece Sperli, con un volto diventato subito melanconico – cosa volete che vi dica? Io quando sono qui vorrei essere in America, e quando ero in America tutte le notti sognavo la mia casa. Questa terra bruciata ci perseguita e non ci lascia dormire fino in capo al mondo. 

     Cosa avevo lasciato qui io? Miseria! Eppure queste brutte strade sporche, queste case, questi orti li avevo sempre davanti agli occhi. 
     Mangiavo maccheroni e bevevo birra, e intanto pensavo alla bottega di Porzia Papandrea. 
     Mi pareva che senza di me l’odore dello stoccafisso andasse perduto”. (in Emigranti di Perri, F., 1941).
Al prossimo post e buon weekend

4.09.2013

MANGIA,PREGA,AMA.


come capirete dal titolo, l'dea di questo post nasce da un'attenta riflessione che ho fatto dopo aver visto il film: Mangia,Prega,Ama.
Vedete, io penso che nella vita ci sono dei momenti adatti per vedere un film o leggere un libro, che non sempre coincidono con quello degli altri. Perciò quando è uscito questo film io ne ero incuriosita ma non più di tanto per cui l'ho lasciato perdere, e mi convincevo sempre più di aver fatto bene poiché da molte persone di mia conoscenza era stato criticato in maniera pesantissima.

Poi qualche settimana fa, passa la pubblicità in tv che avrebbero dato  Mangia, Prega, Ama e dai pochi spezzoni che avevo visto mi è scattato qualcosa dentro un ricordo che mi sembrava di aver dimenticato ma che invece era lì lucido nella mia mente e così domenica pomeriggio decido di guardarlo. 
Sono state le 2.ore e 19 più belle di questi ultimi tempi! Il film è un viaggio introspettivo, in cui la protagonista, ma anche chi lo guarda con giusti occhi e giusto stato d'animo,riesce a ritornare a conoscere veramente se stessa riesce a riappropriarsi della propria identità  attraverso il rapporto con gli alti e attraverso il confronto con le diversità culture che incontra durante il viaggio.
Già dall'inizio del film ci troviamo a riflettere su molte cose ci poniamo già mille domande, ma la frase, tra le tante che mi ha colpito di più è stata quella del marito dell'amica della protagonista  quando alla fine di una cena insieme  con semplicità le dice :"adesso che stai con lui, assomigli tanto a lui prima assomigliavi tanto a tuo marito" una frase agghiacciante, se ci pensate, le dice tu non sai chi sei ma diventi ciò che piace agli altri e di lì lei decide di riprendere in mano la vita e di partire alla scoperta di se stessa e delle sue vere passioni, decide che non c'è più tempo per avere paura e così rinchiudersi in una nuova relazione sbagliata, decide che è arrivato il momento per lei di mettersi a nudo con se stessa e di accettarsi così com'è pregi e difetti! Impara a conoscere altri stili di vita, impara la condivisione e il dolce far niente dai Romani, la meditazione e il sapersi perdonare in India, e da Tikut lo sciamano Balinese impara a mettere insieme questi  elementi e a ritrovare gli equilibri persi per rincorrere ideali e stereotipi in cui non si riconosceva più , Tikut le dice l'equilibrio è né troppo Io né troppo Dio! L'egoismo e l'ascetismo!
Insomma a me è servito per guardarmi dentro e a voi?
Al prossimo post!

4.03.2013

PETER PAN

Dovete sapere che la sindrome di Peter Pan non si trova classificata nel manuale diagnostico,perciò non è considerata come malattia mentale ma piuttosto essa viene considerata come una immaturità psicoaffettiva, il nome della sindrome si deve ad uno psicologo Junghiano di nome Hilman che parlava  di Puerum Aeternus.

Nella concezione generale un Peter Pan è colui che non vuole crescere, che è rimasto fermo alla propria infanzia ed adolescenza dove tutto è bello, tutto è possibile, e c'è il rifiuto di calarsi nel mondo, con le limitazioni che questo comporta.
 La persona affetta da questa sindrome è in genere intelligente, brillante, affascinante, a volte anche ben inserita nel lavoro, ma totalmente incapace di amare e di coltivare relazioni profonde ed autentiche. Il Peter Pan sa socializzare molto bene, ma non sa costruire relazioni con gli altri, perché cerca sempre di primeggiare o di stare al centro dell'attenzione. E' in grado di vivere travolgenti passioni anche di natura sessuali,  ma diventa distante e fugge dalle relazioni serie, che implicano di fatto l'assumersi responsabilità che il Peter Pan non può e non vuole assumerai.
L'immaturità psicoaffettiva è destinata ad aggravarsi con il passare degli anni, perchè la crescita costituisce il disadattamento più grave per il Peter Pan.  Alla base della sindrome vi è un profondo rifiuto di crescere. Il Peter Pan, proprio come un bambino, guarda solo il lato giocoso della vita, sfuggendo a quello delle responsabilità e delle decisioni importanti che l'età adulta gli imporrebbe di fare. Ma quando questi eventi  gli si presentano davanti il Peter Pan reagisce con rabbia, frustrazione o totale rifiuto dell'evento che lo porterà a sviluppare dei sintomi fisici o psichici, come cefalee, mal di stomaco, ansia, depressione, sbalzi di umore. 
 Il Peter Pan è vittima di uno schema errato: è come se tenesse in vita un ruolo che appartiene al passato. Si sente ancora un bambino o un adolescente, anche quando dovrebbe sentirsi adulto. E' come se la sua mente fosse rimasta "congelata" nel passato. E' chiaro che una persona con uno schema emotivo infantile non avrà alcuna capacità di adattamento ai normali cambiamenti richiesti dalle varie fasi della vita.  il Peter Pan si trova a suo agio solo nelle situazioni in cui può primeggiare o non deve assumersi alcuna responsabilità. 
Impegno e responsabilità, specie nei confronti degli altri, sono vocaboli che la mente dell'immaturo patologico non è in grado di comprendere ed attuare. Ciò che davvero manca al Peter Pan è la capacità di amare. Entrare nei rapporti significa esporsi al rischio di soffrire, e la fuga dal dolore è quanto di più caratteristico. Nel suo mondo, naturalmente, il dolore non esiste. Ma questo implica mantenere la distanza, da una parte di sé innanzitutto, e poi dall'altro. Il Peter Pan si protegge dalla vita, con tutte le pene che questa comporta, con una patina di giocosità, di superiorità e lucida razionalità. Nella lotta fra emozione e pensiero, quest'ultimo è il vincitore assoluto. Tuttavia, dare spazio all'emozione significa sperimentare la pienezza della vita. In questo senso, il Peter Pan non vive, poiché non è connesso al cuore. La sua vita è nella testa, nelle idee, nella fantasia, nei voli immaginativi, nel potere dell'intelletto. Il potere del sentimento è negato.
Il Peter Pan può crescere solo abbandonando la propria visione autocentrata e aprendo gli occhi sull'altro. L'evoluzione  passa necessariamente per la scoperta del dolore dentro di sé, che aprirà le porte all'amore.
Il Peter Pan deve intraprendere il viaggio che lo riporterà ad essere quello che è. Egli dovrà affrontare il crollo della propria illusione, calandosi nel mondo "reale", per poi scoprire che la sua illusione era, in fondo, l'unica vera Realtà. 
 Deve imparare ad amare, innanzitutto se stesso, non come fredda immagine idealizzata ma nella propria pienezza di essere umano, facendo i conti con i limiti, il dolore, la vecchiaia. Da qui, egli potrà vedere l'altro e amarlo, riconoscere se stesso nell'altro.